DI ANDREA TARANTO
14.
“Il pregare è nella religione ciò che è il pensiero nella
filosofia”. Novalis
L’altro giorno mi è successo un fatto che mi ha portato in modo irragionevole e improvvisamente ad avere un, seppur breve, attacco di panico.
Ero intorno alle quattordici alla stazione di Genova Sampierdarena, con l’intenzione di andarmi a tagliare i capelli, come al solito, dal parrucchiere situato in fondo a Via Ciro Menotti in Genova Sestri Ponente. Mentre aspettavo in piedi il treno, c’era a dieci metri da me un gruppo formato da quattro ragazze: e tra queste c’era una ragazza bellissima, tanto che sembrava provenire da un altro pianeta, che continuava a fissarmi.
Era una Venere, con i suoi capelli lunghi e neri, con i suoi immensi occhi verdi (da perderci giornate intere), il corpo alto e snello, e un volto di brava persona; un volto che era l’espressione tangibile dell’intelligenza umana.
Siccome lei mi guardava con insistenza, io improvvisamente ho incominciato a non capirci più nulla.
Era il mio profilo di ragazza ideale, quel profilo di ragazza a cui rispondi quando qualcuno ti chiede di dargli il prototipo della donna dei tuoi sogni, motivo in più per cui lei mi piaceva molto, come piacciono le cose belle, e ne ero affascinato.
E qui è cominciato il mio piccolo dramma personale. Da quel momento fino all’arrivo del treno, mi sentivo come sospeso, in balia di atroci sentimenti contrastanti che mi dilaniavano l’animo ogni minuto sempre più forte: da una parte c’era la felicità, lo stupore, la volontà di fare qualcosa, mettermi in gioco, fare il primo passo o quanto meno reggere il suo sguardo; dall’altra avevo una fortissima paura, un grandissimo imbarazzo e la voglia più totale di fuggire il più lontano possibile.
Un temporale di emozioni esplosivo fino a quando il treno non è arrivato, ed entrambi siamo saliti su carrozze diverse, così che la sua partenza ha portato via, oltre che noi due, anche tutte le mie speranze; sebbene sapessi con certezza dentro di me che non sarebbe alla fine successo nulla.
Sono troppo timido, e avevo troppo poco tempo a mia disposizione per tentare di fare qualcosa di più che rimanere immobile come una pietra ben salda nel terreno; senza contare il fatto che lei era in compagnia, e ciò naturalmente complicava le cose ancora di più. Benchè io sappia perfettamente che solo vincendo se stessi e le proprie paure si può ottenere qualcosa che si reputava in precedenza pressoché impossibile.
A ogni modo… fine del racconto e fine dell’episodio che oggi volevo condividere con voi.
Tu, lettore, sento già che mi dici “come? Tutto qui? Queste sono cose che succedono tutti i giorni!”
Hai ragione, io ti risponderei, ma quello che mi premeva sottolineare è come ciò che mi ha portato alla pazzia sia stato il suo sguardo.
Ero uno sguardo diverso da tutti gli altri: ogni qual volta mi osservava, mi lacerava dentro: era come se andassi a fuoco. In poche parole, l’ho percepito come uno sguardo d’amore. E qui è iniziata una giornata diversa; è iniziata, come scrivevo sopra, la mia modesta apocalisse.
Quello sguardo, per tutto il corso della giornata, aveva arso tutta la mia forza, la mia corazza, tutta la mia autostima e tutta la mia sicurezza, le quali avevo faticosamente costruito in venticinque anni di vita e più.
All’improvviso, tutte le mie certezze furono minate, tutto ciò che avevo compiuto di positivo lo vedevo all’improvviso svanito: avevo perso il senno come Astolfo.
Quello sguardo, uno sguardo in apparenza così effimero eppure totalmente demolitore, e poi perduto per sempre, mi aveva distrutto: in tre secondi ero già al tappeto.
Nel pomeriggio ero diventato fragile, negativo, pessimista su ogni cosa; tanto che per un istante, ma fortunatamente solo per un istante, avevo pensato di buttarmi giù dal mio balcone, tanto ero fuori di me. Oggi, invece, la tempesta sembra placata, e tutto sembra tornato alla normalità.
E allora io, infine, mi chiedo: può un semplice sguardo creare tutto questo?
Tratto dal libro “Pensieri” di Andrea Taranto.