Articolo di Emilio Aurilia
Come già affermato approposito dei Move, quando ci si approccia a gruppi del genere, più che all’aspetto musicale ci si deve riferire a quello, potremmo dire, fenomenologico: Jim Morrison (voce), Ray Manzarek (tastiere), Robby Krieger (chitarra) e John Desmond (batteria), ossia The Doors si presentano al pubblico nel 1965, ma verranno ricordati più per ciò che il leader (Morrison) ha rappresentato nella storia del costume più che in quello della musica.
Unico e insostituibile frontman, ha condizionato il gruppo in tutto e per tutto; trasgressivo e prepotente sul palco, autore di eccessi che gli hanno causato l’ arresto più di una volta per atti osceni e altre intemperanze: il suo mix potremmo dire ossimorico di candore e violenza poetica arrivano all’ascoltatore come un pugno nello stomaco a caratterizzare l’intero spettacolo.
La band non è infatti formata da virtuosi, quanto da musicisti preparati, essenziali a sorreggere l’impalcatura per i fantasiosi testi di Morrison, benché molti brani rechino la firma di tutti e quattro. Non significa ovviamente che siano strumentisti mediocri o raccogliticci, bensì che hanno impostato la loro musica sulla figura del loro cantante più che su poderosi assolo indimenticabili, ad eccezione forse e senza forse di quello di Manzarek al piano elettrico in “Riders On The Storm”.
Un gruppo inesistente senza il suo vocalist, quasi che ne fosse meramente il gruppo spalla, colonna sonora delle sue esaltate elucubrazioni che, come detto, lo hanno condotto più volte all’arresto.
L’inno “Light My Fire”, divenuta una sorta di logo della band, l’ipnotica “The End”, il walking blues “Love Me Two Times”, la poderosa swingante “Roadhouse Blues” e la citata “Riders On The Storm”, fior da fiore ciò che resta impresso della loro avventura nello spazio di sette album in studio (più due senza Morrison), quattro dal vivo e immancabili antologie.
Morrison morì il 9 luglio 1971 nella vasca da bagno della sua abitazione di Parigi forse per overdose o collasso cardiocircolatorio.
Stress, eccessi di droghe e altro possono aver minato la sua psiche, conducendolo a defilarsi per sottrarsi alle pressioni dello showbiz rendendo credibili i tanti sospetti sulla simulazione della sua morte che lo vorrebbe ancora vivo e vegeto a Parigi sotto falso nome, pare avallata dal collega Manzarek in una intervista poco prima del suo decesso avvenuto il 20 maggio 2013.