Articolo di Dario Marconi
Due, quattro e sei. Non è una progressione di numeri ma sono tre stanze che per un giro di vita è stato come fossero una sola. Fausto, Daniele ed io. Globalmente diversi, a volte ci si capiva in tre, più spesso ed in alternanza, in due. Questo è il caso dei rage che ascoltavano loro. La premessa del concerto del garden è questa, tre stanze che erano una. Così accade che Fausto è a NY e che io faccio le veci del due. A modo mio, s’intende. L’incontro con il luogo fisico di quella che dirò mi è sembrato una funzione religiosa, è avvenuto dunque per amicizia ma era inevitabile accadesse anche per altre ragioni. La prima è che ci passo davanti quando vado al lavoro. Evitarlo è come evitare di bagnarsi quando piove a frotte. Lo puoi fare ma è sforzo nonsense. La seconda è che porta il nome di James Madison, uno la cui storia mi ha sempre affascinato. Era studente a Princeton e finiti gli studi di lavorare non ne voleva sapere. Troppo brillante per essere gettato a mare, è diventato primo grad student di Princeton e molti anni dopo lo sono stato anche io. La voglia di lavorare non gli è mai venuta ma negli anni è diventato talmente colto che se Washington scriveva al congresso le parole erano di Madison. Di rimando, la stessa cosa faceva il congresso se doveva rispondere a Washington. Nel corso della sua vita Madison è poi diventato presidente degli Stati Uniti. Questo è un dato interessante in un paese in cui ho la percezione che lo studio sia principalmente finalizzato al raggiungimento di uno scopo economico. La terza ragione è che il garden è l’arena preferita di MJ. La quarta ed ultima l’ho capita da dentro. Il garden è stretto ed alto e fa pensare al Colosseo. Forse è anche per questo che una volta dentro ho avuto impressione di assistere ad una funzione religiosa. La dimensione verticale è quella in cui facciamo fatica a muoverci e quindi lo srotolamento della verticalità lo percepiamo come espressione divina. Un’amica mi ha detto che prova stesse sensazioni quando è in mezzo al mare. Concordo. Quello è un caso particolare, come il deserto. In entrambi i casi c’è qualcosa d’altro che ti impedisce di percorrere agilmente la dimensione orizzontale. In ogni caso, il concerto dei rage è di per se un’esperienza mistica. Mi hanno fatto pensare ai Doors, con Zack il cantante nel ruolo del cerimoniere che era di Jim Morrison. L’impalcatura musicale è fatta apposta per incastonare parole esattamente al centro, con risultati contundenti (you’re gonna do what they told ya/ farai quello che ti hanno insegnato a fare). Ho trovato divertente il fatto che di questi tempi io studio armonia e loro sono l’opposto. Le canzoni sono svuotate di ogni concetto armonico e non hanno melodia. Lo trovo molto coerente. Sono anarchici ed i loro testi inneggiano alla polverizzazione delle regole passate di padre in figlio (in questo senso mi hanno fatto pensare a non insegnate ai bambini di Gaber). L’armonia è un sistema di regole, la melodia è una distrazione (quante volte abbiamo canticchiato motivetto senza sapere le parole). Vuoi “cantare” le nostre canzoni? Benissimo. Devi imparare parole e diffondere verbo. La ritmica invece è molto più istintiva e primordiale. Ha radici più profonde. È ipnotica ed è tessuto molto adatto per una funzione mistica. In sintesi gran concerto, ed è stato bello essere in tre (con me bifronte) dove eravamo in due.
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