Interviste

UNA LUNGA STORIA ROCK Intervista a Max Testaquatra, cantante dei Desidia

 

 

 

 

UNA LUNGA STORIA ROCK

Intervista a Max Testaquatra, cantante dei Desidia

 

A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage

 

Ci sono voci che con passione, forza e coraggio continuano a onorare la musica, l’essenza della creatività, quella più pura e genuina. I tempi sono difficili, difficilissimi, e ogni idea sembra destinata a soccombere al subdolo degrado artistico e culturale dell’assurda stagione. Mandare tutto e tutti a farsi fottere, rinunciando comunque alla lotta, sarebbebe forse cosa più semplice e più logica. Già, ma qualcuno ha ancora voglia di credere e, ahimé, di soffrire. Ventisette anni al servizio del rock, per esempio, del rock sincero, sono molti e al contempo non devono essere nulla. Lo sanno bene e lo raccontano squisitamente i Desidia, storica band torinese che di fiato ne ha ancora da vendere. E noi siamo molto felici di poter ospitare simili realtà. E sapete perché? Semplice, le belle storie sono quelle che ci fanno respirare. Il cantante Max Testaquatra, in questo caso portavoce del gruppo, ci spiega come sono andate le cose, dalle origini all’ultimo grande album L’Eternauta. Che dire, qui portiamo solo cose belle. E ciò ci riempie di orgoglio…

 

In giro dal 1994, contando le prime demo, sei album in catalogo, diverse esperienze importanti e tanta voglia di rock. Dalle origini a oggi, avete voglia di ripercorrere un po’ le tappe di questa lunga e invidiabile attività artistica?

 

Effettivamente fa un po’ effetto guardarsi alle spalle e contare gli anni, eppure siamo ancora qui a differenza di molti altri, che si sono spenti in corsa. Forse, essere rimasti in una dimensione di nicchia e di limitata visibilità ha favorito la nostra compattezza, senza per questo stroncare le velleità artistiche, che non sono solo rimaste intatte, ma nel tempo si sono fortificate. I Desidia sono praticamente nati nei Magazzini Docks Dora, (affascinante location torinese sede di numerosissimi set cinematografici, e negli anni ’90, insieme ai Murazzi, uno dei luoghi più vivaci della città), precisamente nelle storiche sale della Rainbow Music, ancora oggi nostro quartier generale. In quella che definirei “prima fase”, produciamo i due album Gotica e Lunatica e I racconti del fiore malato, che sono sostanzialmente classic-rock, ma caratterizzati da una scrittura cantautorale e volutamente ermetica. Nella fase due, si rafforza il sodalizio artistico con Davide Angeleri (grande bassista e soprattutto autore) e la scrittura musicale cambia direzione, una mutazione evidente nei successivi lavori L’imperfezione e L’essenza, più aggressivi nei toni, musicalmente articolati, ma altrettanto intimisti nella scrittura. La fase tre è quella della consapevolezza, non solo anagrafica, con la realizzazione di Niente Canzoni d’Amore e L’Eternauta. Ma questa è storia recente.

 

Nel corso degli anni avete toccato ed esplorato diversi territori musicali. Eppure, il vostro lavoro continua ad avere tratti personalissimi. Sì, insomma, parlo del famoso marchio di fabbrica. I Desidia sono i Desidia. Secondo voi cosa rende il tutto così speciale?

 

L’essere gruppo anche in fase di caratterizzazione dei brani. Aldilà del marcato connubio in fase di costruzione e stesura tra il sottoscritto e Doc. Angeleri, ognuno di noi può arrivare con un’idea. I brani vengono poi elaborati e arricchiti da tutti gli elementi della band, che aggiungono l’ingrediente specifico e la propria personalità, sempre nel rispetto, quasi naturale, di una certa connotazione stilistica.

 

Nel 2020, anno che purtoppo nessuno dimenticherà, è uscito L’Eternauta, il nuovo capitolo della discografia. A ispirarvi un celebre fumetto fantascientifico firmato da Héctor Oesterheld e da Francisco Solano Lopez. Cosa mi raccontate?

 

Fine anni ‘70, un ricordo adolescente, legato a Lanciostory che portò per primo in Italia, L’Eternauta, e fu un successo. Quando a distanza di anni, (nel 2018) si è materializzato un racconto nuovo legato “all’ostinata sopravvivenza”, l’aggancio è stato quasi immediato. La maschera antigas è stata il simbolo perfetto, quasi premonitore di una situazione malata che da lì a poco si sarebbe manifestata in tutta la sua durezza. Noi non siamo stati profetici, solo molto attenti…

 

Classic rock, nudo e crudo, ma anche nuovi spunti di riflessione. In fase di scrittura come vi siete mossi?

 

Come per gli album precedenti, anche in questo caso l’idea è stata quella di realizzare un concept. Abbiamo quindi rispettato un copione, almeno dal punto di vista del racconto letterario. Il protagonista della nostra trasposizione compie il proprio viaggio attraverso l’osservazione privilegiata di piccoli cortometraggi, volutamente rappresentati solamente nel loro epilogo. L’eternauta è spettatore unico e, al tempo stesso, protagonista della propria storia.

 

Un brano del pacchetto che, per qualche motivo, amate particolarmente? Io dico Esclusa: intro da brividi e grande intensità.

 

Qui è tutto molto soggettivo, subentrano i gusti personali. Io le amo tutte, ognuna per un motivo, Esclusa e L’eternauta per la drammaturgia, Non può finire male e Deriva per l’anima grunge, Prova a prendermi per la freschezza, L’altra parte di te per la sfrontatezza, Nocturnalia e Black Tattoo perché rappresentano in qualche modo una nuova direzione.

 

Non molto tempo fa avete inserito in una raccolta MDN Il Vizio Migliore, brano omaggio al mitico Fight Club di Chuck Palahniuk. Con me sfondate una porta aperta: amo autore, libro e film. Il legame tra letteratura e musica è un altro dei punti forti della vostra proposta. Niente canzoni d’amore del 2017 è la prova perfetta…

 

Niente Canzoni d’Amore (NCDA) è stato un viaggio molto americano, ma non solo. Il filo conduttore è riportato nelle note di copertina: “In queste canzoni dimorano fantasmi. Carcasse e relitti che affiorano dall’inchiostro di Carver, Bukowsky, Burroughs, Kerouac. E noi ad osservare, sull’orlo del precipizio, il deformato riflesso della nostra essenza.” Ma al viaggio hanno preso parte anche Welsh e Ammaniti, oltre al già citato Palahniuk.

Nota curiosa, Il Vizio Migliore doveva far parte dell’album, ma non lo ritenemmo ancora pronto e lo lanciammo come singolo un anno dopo. Ma in realtà è una costola di NCDA.

 

Momento nostalgia, adesso. Gli anni ‘90 hanno regalato dischi incredibili, capolavori che resteranno per sempre nella storia della musica. La lista è davvero infinita. I Desidia, come detto, sono figli di quel periodo. Cosa ricordate e quanto dovete a quel decennio?

 

La triade NevermindDirtTen è stata per il sottoscritto la fine di un incubo e il ritorno delle chitarre al centro della scena. Il grunge l’ultima vera boccata d’aria fresca, la voce della mia generazione. In casa nostra, dopo l’importante esperienza Litfiba (prima fase), ecco Ritmo Tribale, Afterhours, Marlene Kuntz. Mica poco…

 

I dischi della vostra vita?

Qui è dura, perché sono veramente tanti. Provo a scegliere tra i grandi classici, e a parte il grunge in blocco, dico: Led Zeppelin IV, Blonde on blonde (Dylan), Sgt. Pepper (Beatles), Beggars Banquet (Rolling Stones), Waiting for the Sun (Doors), Dark Side Of The Moon (Pink Floyd) e Swordfishtrombones (Tom Waits). Oggi ascolto molto Mark Lanegan e Nick Cave.

 

Nel 1996 la svolta definitiva con il concept Gotica e Lunatica. Dopo le primissime composizioni in inglese il nostro bellissimo e ricchissimo italiano. Un cambiamento che non può certo essere considerato un dettaglio, considerata anche la longevità della band.

 

Fu un cambiamento quasi necessario, almeno per me. La scrittura dei testi in italiano, per quanto poco diretti, anzi, oserei dire ostici, avrebbe favorito il processo di comunicazione. Non è un percorso semplice, il rock richiede delle regole precise, magari oggi anacronistiche, ma per me ancora importanti. Il vocabolario italiano è ricco, ma al tempo stesso mostra dei limiti di applicazione. Le parole sono importanti, hanno un loro suono, che deve essere adeguato, e vanno usate bene.

 

Covid a parte, come se la sta passando la musica in Italia? Malino, direi…

 

Dal mio punto di vista, molto male. Quello che è peggio, è che si stia provando a giustificare la mediocrità, provando addirittura a fornire una chiave di lettura sociologica, quasi punk. Io nella musica italiana attuale non trovo nulla di rivoluzionario. Ripeto, è un problema di disallineamento personale, io non amo la nuova metrica, non mi piace l’utilizzo attuale delle parole, non amo il non suonato. E a parte qualche raro caso, vedo il nulla.

 

Soluzioni?

Non credo ce ne siano, forse uscire dal format del talent, della competizione (che non ha nulla di artistico) e riconsegnarsi all’idea e allo spunto creativo, anche rischioso. Ma non investirebbe nessuno, e non ci sarebbe alcuna passerella. Quello che manca oggi è la guida all’orientamento musicale, ruolo critico che in passato svolgevano le riviste musicali specializzate e che oggi è totalmente nelle mani dei giudici dei talent o di qualche influencer. Chiedo perdono…

 

Il ricordo più bello legato alla band?

 

Tutti i momenti condivisi sul palco e in studio di registrazione, nessuno escluso.

 

E il ricordo più brutto?

 

Nel 2001, dopo la pubblicazione de I racconti del fiore malato, rischiammo di smettere. Metà gruppo fece un passo indietro, ma nonostante questo non ci facemmo prendere dal panico e nel giro di un paio d’anni, ricostruimmo nuovamente la band.

 

Progetti futuri?

 

Non ci fermiamo mai, siamo in costante fermento. Anche adesso abbiamo del materiale in cantiere e delle idee per la realizzazione di un progetto nuovo, tra un paio d’anni chissà. Sarà come sempre il più bello di tutti.

 

Salutate i lettori e mandate un messaggio rock.

 

Aprite gli occhi, le orecchie, e non fatevi fottere

 

 

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