A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage
Sono nati da poco, ma hanno parecchie idee e ovviamente tanta voglia di cazzeggiare. I mantovani Teasers sanno di non essere più degli adolescenti, ma se ne fregano altamente, è la testa che conta. Lo dico sempre e adoro sentirlo dire dagli altri perché è tutt’altro che una paraculata. I primi brani proposti sono di fatto veri è propri inni punk, strafighi, energici e perfetti per uscire dalla claustrofobica routine, per restare in forma e per non sprofondare chissà dove. Perché, come dichiarano i componenti, abbiamo tutti bisogno di uno spazio di libertà senza tempo, soprattutto in questo fottuto momento storico. In più, nonostante tutti i mali del mondo, utilizzando le giuste parole e suonando bene, possiamo ridere e ironizzare di brutto… Magari possiamo affrontare temi scomodi e malati come quello delle relazioni tossiche o della rinascita. E bravi i Teasers, una piacevolissima scoperta…
Ciao, ragazzi. Prima di parlare di musica, presentatevi al mondo e ai nostri lettori…
Ciao, siamo i Teasers, la miglior rock band al mondo secondo le nostre nonne!
Prima di formare i Teasers, avete militato in altre band e avete accumulato diverse esperienze. Tutto sta tornando utile nel nuovo progetto. Avete voglia di riassumere le vostre storie?
Certo. Diciamo che ognuno di noi ha una storia musicale che inizia nei primi anni 2000. Veniamo da band molto diverse tra loro (punk rock, post-rock, sperimentale), che hanno avuto una loro storia partendo da Mantova, che è la città natale di ognuno di noi. Col senno di poi possiamo dire che ci siamo sempre piaciuti, ma che suonando in band diverse non c’è mai stata occasione di suonare insieme… fino a un mese prima del covid, timing perfetto per formare una nuova band, hahaha…
Il primo vostro brano che ho avuto il piacere di ascoltare è stato Doggy Doggy. La canzone è potente, divertente e in perfetto stile punk americano, genere che amo e che davvero non smette mai di stancarmi. Cosa mi dite?
Che il punk rock è puro divertimento e immaturità. Non importa se lo si suona a venti o a quarant’anni, perché è uno spazio di libertà senza tempo. Noi abbiamo deciso di formare questa band col solo obiettivo di divertirci e ridere, di stare insieme fuori dalla routine. Lavoriamo tutti i giorni come tutti e la musica è il nostro momento per non dover rendere conto a nessuno se non a noi stessi. È la promessa che ci siamo fatti il primo giorno in sala prove e la stiamo mantenendo alla grande.
Con sarcasmo e picchiando forte, avete affrontato il tema del servilismo all’interno di una coppia, di una relazione sentimentale. Sottomissione e dipendenza, per intenderci, la storiella del cagnolino totalmente incapace di reagire. Come è nato il testo?
Hai colto il punto. Diciamo che uno di noi ha molta esperienza in materia, ma in generale basta osservare il mondo per vedere la dinamica che in modo metaforico abbiamo messo nel testo. Lo si vede non solo nella coppia, ma anche nel lavoro e nell’amicizia. Le relazioni tossiche sono ovunque e sono decisamente una merda che non contribuisce alla felicità di nessuno. Ma come tutte le cose tossiche, vivendole da dentro non sempre si ha la lucidità di comprenderne gli effetti devastanti per la propria vita, se non pagando migliaia di euro di psicoterapia o andando a schiantarsi contro un muro quando ormai è troppo tardi. Ci piace però pensare di poter ridere di qualsiasi cosa, magari anche di qualcosa che ci ha fatti soffrire perché è la medicina migliore. Doggy Doggy è un inno alla consapevolezza, ma prendendo il tutto con la giusta dose di ironia.
Tra l’altro, già nel 1969, Iggy Pop e i suoi mitici Stooges avevano detto la loro a riguardo…
Beh, sì, il richiamo a quel brano c’è, magari in chiave meno erotica…
Dopo Doggy Doggy ho recuperato gli altri due pezzi al momento disponibili: Metropolis Calling e The Night Is On Fire. Parliamo anche di queste…
Metropolis è un pezzo che parla di una metropoli caotica e della riscoperta di sé stessi dopo un periodo difficile come per tutti è stata la pandemia. Il senso più profondo è che quando soffriamo cambiano le priorità, la gerarchia delle cose e probabilmente si sente anche un po’ il bisogno di tornare a casa. Per noi almeno è stato così. La band stessa è un po’ un ritorno a casa.
The Night is on fire è invece un brano molto più cazzone, un puro inno al divertimento urlato al mondo da quattro quarantenni che si sono rotti le palle della routine e che hanno voglia di ballare anche se in modo goffo e scoordinato, senza dar peso a quello che il mondo può pensare di loro. C’è anche il video su YouTube che racconta bene la storia!
Suppongo che presto avremo modo di ascoltare l’album. State lavorando e programmando l’uscita?
Sì, a breve dovremmo tornare in studio per incidere i pezzi che mancano alla chiusura del primo full lenght che uscirà l’anno prossimo.
E io aspetterò… Tornando al punk, le influenze sembrano piuttosto evidenti. Quali sono però i nomi più importanti per voi?
Ti potrei dire un sacco di nomi, non solo punk. Sicuramente, se dovessimo scegliere tre band punk da cui creare una ricetta magica, potremmo dirti i Clash per la loro indipendenza e libertà creativa, i Ramones per la loro pacca live e probabilmente i NOFX per averci fatti innamorare del punk rock da ragazzini.
Siete una live band. Ecco, come stanno andando le cose?
Considerando che la band è “nuova”, direi molto bene. Stiamo facendo un bel tour estivo grazie al supporto di Anthill Booking e siamo super contenti della risposta di chi ci ascolta. Di sicuro non è un’epoca facilissima per lanciare una rock band da zero, ma per noi, come ti dicevo, fino a quando ci divertiamo è tutto super ok.
Situazione musicale in Italia. La vostra, senza giri di parole…
Il concetto di musica è molto ampio. Noi la viviamo e la osserviamo principalmente dal punto di vista del rock ed è evidente che per una rock band in Italia e non solo non sia semplicissimo di questi tempi. La pandemia ha costretto a chiudere molti live club e festival e questo non sta aiutando un genere che già di per sé negli ultimi anni a parte poche eccezioni non godeva di una grande spinta dai media.
È un discorso molto ampio che non vorrei banalizzare in tre righe, non penso ci siano colpevoli e vittime del sistema, penso più che altro che storicamente il rock abbia passato dei cicli nei quali in qualche modo alla fine si è sempre reinventato in nuove forme, passando attraverso periodi nei quali veniva dato per morto e altri generi dominavano i gusti delle persone. Il rock alla fine non muore.
Salutate i lettori di MDN, allegando tutti i vostri link.
Grazie per l’attenzione, se volete inviarci foto dei piedi potete farlo su Instagram @teasers.music e mentre vi scattate le foto potete ascoltarci su spotify e tutte le principali piattaforme di streaming.
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